
Eppure, paradossalmente, questi generi non si annullano a vicenda, ma, anzi, si compenetrano, così che l'uno sfoci nell'altro e viceversa, confluendo tutti nel creare un'unica, opprimente, tragica atmosfera che non fa da sfondo, ma è parte integrante degli eventi e delle azioni dei personaggi.
Tuttavia Hunger risente di tutti i difetti di un'opera prima: una lentezza, seppur studiata, che risulta eccessiva in più punti, virtuosismi ben attuati ma portati all'eccesso e resi dunque prolissi, tutti errori evitabilissimi.
Era però chiaramente uno l'obbiettivo del regista, quello che è ormai il suo tratto distintivo: il dolore.
Steve McQueen è dannatamente bravo a costruire in modo graduale il dolore, poco a poco, sfruttando l'atmosfera che ha creato, per poi farlo esplodere in tutta la sua furia distruttiva, qui il dolore non è invocato indirettamente come in Shame, non è fine a se stesso, frutto della tortura, come in 12 Anni Schiavo (in cui il regista avrebbe ripreso anche l'uso dell'atmosfera di Hunger), qui il dolore è portatore di devastazione, esplode tanto dall'esterno (le percosse delle guardie) quanto dall'interno (l'hunger stike), e con esso si accompagnano tutti gli effetti negativi auspicati, nessuna redenzione, un dolore che è morte, prima di essere rivoluzione, con una solitaria, triste dicitura finale come sola consolazione, una vaga speranza che non sia stato tutto inutile.
Hunger è un'opera prima, e lo si sente in più di un'occasione, tuttavia, nonostante la poca esperienza posseduta in quel momento dal regista, egli è riuscito comunque a costruire e ad esprimere quei fattori che sarebbero diventati i punti forti della sua filmografia, di certo un ottimo inizio.
VOTO 4/5
Nessun commento:
Posta un commento