
La protagonista Izumi è il prototipo della “moglie modello”
giapponese, una casalinga meticolosa, la cui vita ruota attorno al marito
scrittore, e la bravura del regista risiede proprio nel mostrare con poche
inquadrature la noia ma allo stesso tempo l’oppressione della sua routine
quotidiana, basata unicamente nel servire in toto il marito, temendo le
conseguenze di un suo errore, ed è da questo punto di partenza che inizia l’evoluzione
del personaggio: in questo clima in cui la moglie è completamente dipendente
dalla sua “dolce metà”, qual è l’unica cosa in cui, fisicamente, l’uomo dipende
dalla donna? Qual è l’unica cosa su cui Izumi dovrà puntare per acquistare indipendenza?
Il sesso.
Ed è proprio col sesso che gli uomini cambiano completamente
forma in questo film, da dominatori la cui punizione è temutissima, diventano
puri oggetti per il piacere di Izumi, un godimento non tanto fisico, ma dovuto
al piacere del comando,di avere “il coltello dalla parte del manico”: il prezzo
è indifferente, Izumi, e poi Mizuko, non chiedono soldi in quanto prostitute,
non sono spinte dal guadagno, ma dal piacere di avere qualcuno alle proprie
dipendenze, sono spinte dal poter decidere chi soddisfare e chi no, a chi
concedersi e a chi rifiutarsi, il potere infatti non risiede tanto nel sesso,
quanto nella consapevolezza di esso, concedendosi senza un compenso, all’inizio,
Izumi è ancora nella sua condizione di sottoposta,soddisfa l’ennesimo ordine
dell’uomo, comincerà ad evolversi dopo
aver capito il potenziale del rapporto fisico, tuttavia per tutto il film
resterà su di lei l’alone del marito, dell’oppressione, infatti (quasi) tutti i
suoi cambiamenti avvengono nella sofferenza, anche nel suo momento di maggior
sicurezza ci sarà qualcosa a riportarla (seppur temporaneamente) in uno stato d’oppressione.
Al tempo stesso troviamo Mizuko come altra faccia della medaglia,
inebriata del “potere” del sesso,insito in lei in quanto donna, entra in crisi
una volta giunta di fronte al “castello di Kafka”, l’uomo che non può portarsi
a letto, a cui può solo “girarci intorno senza mai raggiungerlo”: in quest’uomo
lei vede la fine di tutto ciò che ha provato a costruire, dando inizio alla sua
fine.
Il regista chiosa infine sui suoi personaggi, con una
bellissima analogia sulla parola parlata: ogni parola ha un “corpo”, un
significato, identificabile tramite la parola stessa, e tali sono le due
protagoniste del film: corpi, significati, senza definizione, la loro
confusione ed insicurezza derivano dall’essere corpi, significati, privi e alla
ricerca di una parola, un significato, un’identità.
VOTO 4/5
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